Masini Daniele 3285906674




DANIELE MASINI E I SUOI CAVALIERI DELLA GUERRA
di Franco Solmi
Masini è fra coloro che in questo nostro mondo di levigati orrori, di coloratissime tragedie, di distruzioni pervicacemente addolcite, si ostina a dipingere incubi terribili, mostri orrendi, cavalieri dell'Apocalisse, come se gli fosse toccato il compito di illustrare un ultimo libro delle Rivelazioni. "Ogni rivelazione potrebbesi dire Apocalissi" riportava il buon Tommaseo e anche se probabilmente Masini non aveva in mente questo precetto quando cominciò a infittire di metafore guerresche le sue tele corrusche, non v' è dubbio che il suo intento era, e mi sembra resti, quello di scoprire con violenza qualche nascosta verità, di rivelarla, appunto, in termini apocalittici. L'immagine dei Cavalieri della guerra gli è quindi congeniale. Si può dire che essa costituisca il simbolo principe delle sue moralità, che nell' opera di Masini I' accento morale, e vivaddio anche quello moralistico, è forte e deciso così come lo era nell' arte dei secoli ferrigni che insisteva più sulle piaghe che sul sorriso ed era terribilmente visionaria solo perché voleva trasmettere il senso delle colpe umane. Masini non è un pittore cavalleresco, né può concepire la violenza angelicata e il guerreggiar cortese. Egli è troppo moderno per poterselo permettere e non possono essere evidentemente gentili i suoi Cavalieri della guerra se debbono fungere da metafora di ciò che d'orrendo brulica nella coscienza dell' uomo dei nostri giorni. Masini costruisce nelle brume dell'incubo i suoi mostri di sangue e di ferro e li getta tra noi, simulacri possibili e impossibili di questo secolo oscuro.
Questo modo di porsi il problema della pittura ha ovviamente più a che fare con la tradizione surrealista che non con i recuperi d' anacronismo che oggi I' arte in mille forme propone.
Ho già detto che Masini costruisce metafore e simboli del presente. Le sue opere rispondono infatti al bisogno di dilatare lo spazio immaginario oltre i confini della ovvietà e della banalità dei segni quotidiani. La stessa esigenza si riflette nelle attuali rivisitazioni degli antichi rituali, nelle fortune dell' alchemico e dell' occulto, nel neomedievalismo, nelle coscienti finzioni che cerchiamo di opporre alle finzioni dell'inconscio per esorcizzare il senso diabolico. Ma Masini non è uomo di cerimoniali, e si avverte nel suo lavoro una rabbia sorda ed elementare che egli cerca in ogni modo di far esplodere senza preoccuparsi se I' orrore trasformato in "bellezza" artistica può perdere la sua carica traumatica o se I' approdo inevitabilmente monumentale, e rituale, rischia di irrigidire nelle freddezze del simbolo senza ironia l' originaria tensione. Si può dire che I' artista romagnolo resta fedele a un concetto della "passione" come peccato, e le sue opere si collegano direttamente a quelle suggerite in ogni secolo dalla psicosi della catastrofe e del millenarismo.
Per contro questa pittura gioca sul fascino che il mostruoso sempre esercita, e sul mistero che si nasconde e insieme si rivela in ogni immagine che si fondi sull' innaturale, I Guerrieri, i Grandi Cavalli che rovinano fra il ferro delle corazze e delle spade, i cieli che si chiudono sul frastuono dei massacri e la terra che s' abbruna di sangue sono rappresentazioni simboliche limpide e leggibili di un tragico quotidiano che l' arte può cercare di rappresentare in termini di qualche grandezza, e tanto aulici da toglierli di colpo dalla sfera del credibile. E' come se Masini dipingesse simulando le precettistiche medievali e della Controriforma, ma con l' occhio incantato da Rembrandt. Non è certamente un caso se questo è il maestro alla cui cupa teatralità Masini si richiama riprendendo i momenti della più irruenta drammaticità e della concitazione figurativa che accompagnano come in controcanto I' approfondimento in senso evocativo della composizione pittorica. Non c' è bisogno di sottolineare quanto I' estetica romantica e neoromantica pesi in questo colto primitivismo di Masini che ricostruisce a suo modo le tappe di una rivisitazione neogotica in chiave moderna e, come s' è detto, tragica. Intendo dire che le sue parabole, le sue scene allegoriche, le sue metafore non alludono a valori positivi, come poteva accadere ai seguaci di un Ruskin o di un Viollet-le-Duc. Al contrario, esse sono l'immagine di una umanità che ha perduto i propri credibili simulacri e cerca di ritrovarne i segni insepolti, i relitti, nelle figurazioni irreparabilmente "fuori tempo" dell'arte. Il richiamo di Masini alla grande tradizione della pittura narrativa e la scelta di esprimere I' angoscia moderna attraverso i segni di una violenza mostruosa che è alle radici del nostro immaginario quotidiano, ci appaiono conseguenze necessarie della perdita d'identità della società e dell'individuo che il surrealismo aveva già intuito. Purtroppo noi sappiamo, e Masini dimostra di saperlo dire con I' icasticità delle immagini pittoriche, che la salvezza non verrà dal poetico disordine della fantasia, ma dall'angoscia che nasce dalla coscienza del male. I Cavalieri della guerra possono risvegliare questa coscienza attraverso la loro perversione e l' orrore di cui son portatori. L'Apocalissi, insomma, può essere insieme Rivelazione e Liberazione, ma soltanto a patto che non si sia ancora capaci di immaginare tutto ciò. Magari attraverso la favola dell' arte.
Masini Daniele 3285906674