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Masini Daniele 3285906674

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Masini Daniele

Andrea Brigliadori:   1983     1986    1987

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Dal catalogo le Metamorfosi 1986

Nel segno della metamorfosi

Molte cose avevo nella mente la sera che ridiscesi le scale della sua nuova casa/studio, dopo aver visto i quadri che Daniele Masini avrebbe presentato a questa mostra. Comincerò dalla più strana e stravagante: sento che alle costellazioni dello zodiaco manca un tredicesimo segno, un segno out, dispari, diverso e indivisibile, che sia tutti gli altri e nessuno, che comprenda nella sua fissità il mutamento degli altri, il generarsi del Leone dal Cancro, e dell' Ariete dai Pesci e cosi via. Il segno, non calcolato ma sempre possibile, della metamorfosi. La confidenza ironica e mistica degli antichi col divino e col naturale popolò il mondo di creature metamorfiche. Chiunque, credo, avrà sentito in quel tempo che poteva accadergli da un momento all' altro, di scoprirsi mutato in altro e vederlo accadere. Di metamorfosi son piene le favole. Dante ne ebbe visione privata in anteprima nella bolgia dei ladri. E in una mattina kafkiana Gregorio si svegliò insetto.

Ma perché dico questo, a rischio anche di divagare ?

Perché quella sera, mentre mi faceva scorrere sotto gli occhi uno dopo I' altro i suoi quadri, Daniele sembrava fisso a un punto solo:

che io cogliessi nella sua sequenza pittorica il segno della metamorfosi, e che mi fosse chiaro che in quella trentina di tele tutte datate ottantasei, dopo un anno e più di tela bianca e di pennello asciutto, c' era il racconto di una storia, la storia, appunto, della sua metamorfosi. Ora, io i segni di quel mutamento li decifravo tutto intorno a me in quella nuova casa rifatta con le sue mani (la manualità che fà in primo luogo I' artista): il caminetto, le castagne, lo studio che non pare nemmeno uno studio tanto è ordinato, le maniglie delle porte lasciate corn' erano una volta, e le persiane di una volta al di là di finestre alte e strette come si facevano un tempo; e ovunque, dì stanza in stanza, di sorriso in sorriso, un bionda onnipresenza. E non era riposo di guerriero, ma faticata e sofferta conquista, rifugio e scampo dal dramma. Ma la distrazione dalla pittura a cui sembravano indulgere quelle notizie e racconti era solo apparente. E furono allora due soprattutto le ragioni del mio stupore: mai Daniele Masini aveva insistito per una lettura così strettamente autobiografica della sua pittura, mai aveva tanto preteso che i suoi quadri fossero capiti come segmenti coordinati di una storia vissuta, mai lo avevo sentito spiegare i suoi quadri con uno scarto così minimo rispetto all' esperienza, al vissuto, al contingente.

Sembrava stanco di tutta quella simbologia del sogno, dell'incubo, dell'inconscio, del vitalistico e del funebre di cui lui stesso aveva suggerito il riconoscimento nelle date precedenti della sua pittura. Dissolto I' incubo, morta quella morte. La ferrea, primordiale signoria dei mostri armati e putrescenti era deposta. Ii perché era nella vita, non nella pittura. Il perché era nel tredicesimo segno. Nasceva allora di lì la mia seconda ragione di stupore: come poteva quella pittura, così inconfondibile da anni, ormai, da non poter essere scambiata con nessun' altra, quella pittura che a una prima occhiata chiunque sa dire che è di Masini, quella pittura dunque così legata a sé stessa, come poteva dire la metamorfosi, e anzi raccontarla come evento disteso nei tempo, come vicenda accaduta ? Come poteva quel linguaggio pittorico arcaico e balenante, nato, pareva, per I' assoluto, per l'immutabile, per il pre-storico o I' a-storico dell' uomo e del mondo, come poteva essersi inclinato a strumento espressivo di storia e di racconto? Mi ricordavo di un pomeriggio a Mestre, che si ragionava con Daniele della drasticità del suo segno e del suo colore, degli abbagli di luce che ne traeva, scoccati da sprofondamenti d' ombra. Era la sua maniera, così certa di sé da rischiare un' autogenerazione perenne, una replica a tempo indeterminato. E dopo ? - ci si chiedeva. Dopo, il silenzio, la fuga dalla pittura, la tana, e forse altro. La gestazione della metamorfosi, la ri-nascita. Da dentro quella stessa pittura, s'intende, dalle sue cavità più interne. A prima vista, nulla è mutato: gli stessi elementi strutturali, la stessa forte emergenza della proposta figurativa, il suo straniamento, lo stesso enigma visionario, il senso di presenza/assenza, di atemporalità, il dubbio di avvertire vicinissimo ciò che in realtà è estremamente remoto, subito al dl là di un trasparentìssimo vetro imperforabile; lo stesso indecifrabile rapporto con sfondi allusivi e indefinibili. Ritrovo le costanti di questa pittura, i segni del suo codice comunicativo, le sue convenzioni formali e figurali: la centralità e unicità dell' occhio, la disposizione afflosciata di membra e di pelli, la capillare corruzione delle superfici in un groviglio di escrescenze e di pieghe, l'incarnazione dell' umano in un repertorio di creature che sembrano tratte da un qualche bestiario medievale, familiari e sconosciute ad un tempo. Eppure tutto questo è racconto. Ora che scrivo e ho sparse intorno a me per il tavolo le fotografie di grande formato in bianco e nero in cui Masini ha " tradotto (da eccellente fotografo quale egli stesso si dice) tutti quei suoi quadri già visti, trasformo in gioco qualcosa di serio. Approfitto del fatto che a questi quadri non spetta una distinzione cronologica che attenga alla loro esecuzione.

Datati tutti 1986, hanno un termine " post quem che li include tutti in una effettuale coetaneità. Mi diverto allora a disporli secondo i titoli che Masini ha diligentemente compilato (anche la diligenza è frutto di metamorfosi) sul retro di ogni fotografia. Gli avevo chiesto io se mai quei quadri potessero avere un titolo, memore come sono di una sua antica riluttanza a circostanziare troppo le sue tele. Mi aveva risposto che potevano averne uno solo, collettivo, che non dirò. Ma ora nei titoli che sono qui dietro le fotografie scopro che Daniele ha scritto con quelli il racconto che i suoi quadri rivelano e nascondono nello stesso tempo. E se il "mio" racconto non coinciderà col suo, vorrà dire che il suo contiene l'ipotesi di altri possibili racconti e che per questo è tanto più ricco di ragioni narrative. Scelgo dunque una prima serie (Ricordo di un ritratto, Gli ultimi ricordi, Evocazione, Nella palude): li accomuna, in questa mia arbitraria ma legittima lettura, il senso malato della prigionia, della sfinitezza, dello smarrimento; un altrove mentale tocca gli occhi di nature assediate. I segni pittorici di un tempo (le corazze) non dettano energia, e la nuda natura è desolata. Tempo finale e immobile. Allude a un principio quel chiaro di cielo sull' orizzonte basso delle colline intorno alla palude ? E' uscita da quelle corazze la bestia guardinga in mezzo alla palude ? O il quadro della palude viene dopo tutti gli altri ? Cercando risposte, compongo una grande sequenza centrale, i cui " tempi interni " mi pare che si possano scandire così: Situazione i e 2; Metamorfosi attesa, Forma in evoluzione, Attesa, Dilemma della trasformazione, Risultato possibile; e poi i quattro interni " senza e con metamorfosi, e le due metamorfosi ', fino alla " Rivelazione e alla " Apparizione nel paesaggio "; o forse il " Dilemma " e leattese possono precedere le situazioni ". Di fatto assistiamo a uno scioglimento, a una schiusa, che non è di nascita ma di forma che si tramuta, di essere che si rivela. E I' occhio segnala, in quelle forme che mutano, un itinerario della coscienza che accompagna altri livelli di analogia: dall' interno al paesaggio, dall' involucro al corpo, dal segreto alla rivelazione, dalla attesa all' evento; e altro ancora. Il tema formale resta quello più caro a Daniele Masini: un disporsi vario, ora aperto ora chiuso, compatto fino alla durezza o abbandonato fino al dissolvimento, di bende e di pelle, in infinito e intricato rinvio di ombre e di luci, di colore e di segno; è il vero linguaggio di questa pittura, che avvolge così ogni occhio, in ogni suo quadro, di buio, di sofferenza, di attesa, di commozione, di speranza, di tenerezza, di fragilità, di amore.Lo stesso che un tempo aveva fasciato di morte e di violenza I' ossessione dei guerrieri e dei cadaveri. La metamorfosi appunto, il tredicesimo segno. Nel segno, a sua volta, di una vita liberata e comericonciliata, in umiltà, con sé stessa. Ce lo rivela anche, per chi guardi con attenzione, l' amorevole cura di certe sfumature pittoriche: lievi ed elusive come in Masini non erano mai state. Può accadere allora che nell' ultima sequenza che vorrei proporre (Canto alla luna; Nel bosco; Nella storia; Ritratto finale; Mentre passa I' aquilone) un occhio limpido e mite, protetto da tenera pelle, si apra a paesaggi ed a sogni, persino alla storia. E guarda da quel suo arcano altrove remoto in cui pure rimane.

Andrea Brigliadori

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