Masini Daniele 3285906674

Se Hegel aveva definito l’arte come “qualcosa di passato”, un fenomeno ormai privo di valore speculativo, un qualcosa a cui il mondo moderno non sente più alcuna necessità di dare espressione e Heidegger aveva rilanciato questa affermazione hegeliana [in L’origine dell’opera d’arte (1936)], trasformandola in una domanda ancora oggi per noi cruciale: l’arte rappresenta un aspetto ancora essenziale e necessario per l’esperienza che gli uomini hanno di se stessi? è ancora il luogo nel quale avviene l’incontro con una verità decisiva per la nostra esistenza o non lo è più?, questo percorso proposto a Cervia in questa prima edizione di Permutazioni Visionarie - Fra Angeli e Demoni si connota e conferma l’importanza e il senso profondo dell’arte, ancora oggi. La rassegna accoglie e affianca oltre cinquanta significative opere di Moreno Bondi (Carrara, 1959) e Daniele Masini (Forlì, 1951), accomunati dall’aver posto al centro della propria ricerca poetico-figurale l’Uomo, Angelo o Demone, immerso in un’atmosfera onirica, fra bene e male, positivo e negativo. Un momento espositivo, questo, che tenta di riordinare le fila di una riflessione nella quale, insieme all’arte, viene messa in questione la natura della verità alla quale gli uomini possono avere accesso. Lo stesso Hans-Georg Gadamer, riprendendo la sollecitazione di Heidegger, ha condotto significative ricerche intorno a ciò che può ancora legare l’arte a un’esperienza di verità che nel presente non avrebbe perduto nulla né della sua importanza né della sua necessità. Se per Kant l’arte era un esercizio della libertà, credo che il linguaggio di una figurazione simbolica e mitica, più di altri, riconfermi la primarietà di tale forma espressiva e la sua grande contemporaneità. È in questo “regno ideale” che le leggi della bellezza rivendicano la loro autonomia ed il loro dominio per un’autentica libertà morale. «Il bello e l’arte non fanno che prestare alla realtà un effimero bagliore trasfigurante» (H.G. Gadamer, Esperienza dell’arte e verità, in Verità e metodo). Così il mondo rammemorante e sciamanico di Bondi e Masini è un esempio di arte ontologica ad alta temperatura pittorica che richiama alla memoria l’antico fare “pittura-pittura”. Il ricordo del “passato” si concreta e colpisce percettibilmente già ad una prima visione delle opere, perché l’arte è una voce dove il passato rivive. L’occhio è attratto dalla perizia dell’esecuzione e, ritrovando una raffinatezza antica alla quale l’osservatore contemporaneo non è più abituato, scopre il riproporsi di quelle tecniche e di quell’attenzione al dettaglio che hanno fatto grande la nostra tradizione italiana. Angeli e Demoni, trasfigurazioni, metamorfosi, ricordi, frammenti, visioni orfiche, emozioni fantastiche che permutano e si sostanziano in sembianze umane. Personaggi che divengono attori in un conturbante teatro pittorico fatto di scene mitiche e di arditi tagli prospettici. Il termine permutazione significa scambio matematico: di fatto è una trasposizione. Due distinti universi figurali, due personalità perturbanti e “anomale” nell’arte contemporanea, due moderni alchimisti della pittura capaci di per-mutare ogni suggestione. Due veri e propri sciamani che fra trasmutazioni e visioni ci propongono l’eterna diade del Bene e del Male. Jean Cocteau li avrebbe definiti due «prìncipi di quel realismo irreale che sarà il segno distintivo del XX secolo»; Gustav René Hocke li avrebbe descritti come due demiurghi dalla «illimitata capacità di far rivivere le cose in una continua metafora onirica, oltre la qualità formale di eleganza e di fantasia infinita» e Leonardo Sciascia avrebbe parlato di una straordinaria capacità di sdoppiamento e metamorfosi. Osservare le loro opere è come aprire le stanze di una memoria archetipica. «È dalla notte dell’io da cui il poeta estrae la sua luce», ha scritto Roberto Tassi, poiché «il segreto del poeta è nella favola mitologica ch’egli offre alla nostra riflessione» (Julien Green). È forse con il terzo occhio, che al dire degli stoici ci portiamo al sommo del cervello, che i nostri due artisti guardano ai sogni e li cantano alle nostre anime per rivelarci i segreti memorabili della loro psiche, sedimentati nell’inconscio, attraverso racconti di un non tempo vivido che giace sotto la cenere, fenice onirica testimone della lentezza e della inesorabilità del tempo. Due artisti, due spaesanti artefici delle più alte qualità del “meraviglioso”. Due percorsi artistici, i loro, che raddensano succhi intellettuali nutriti di veleni esoterici, impaginati nel segno dell’eccellenza della pittura e della fantasia, dell’invenzione e dell’immaginazione. Le loro raffigurazioni sono erotiche reminiscenze traslate fra Eros e Thanatos, riflesso di sensibilità audaci che magicamente ci proiettano in territori mentali che appartengono alle sorgenti più profonde della complessità dell’umano. Ci ricordano che siamo esseri permutanti, che siamo al di là di noi stessi e possiamo lasciarci oltrepassare da nuove correlazioni misteriose. Così, fra riferimenti letterari, suggestioni mitiche, sintetizzazioni enigmatiche, questi due “draghi” dell’arte riplasmano l’indicibile, scatenano l’inferno e ci trascinano nelle emotive allucinazioni pittoriche fra tracimazioni, precipitazioni e ascensioni, fra torpori e trasalimenti. Moreno Bondi e Daniele Masini sono due artisti inconfondibili e lunari che narrano delle diafane luci impalpabili, che raccontano di labirintici mondi dove tutto si svolge e s’infrange per poi autorigenerarsi in nuove enigmatiche allucinazioni. Nelle tele magistralmente dipinte ecco che affiorano mostri replicanti che reinventano inaudite bellezze spaesanti. Due poeti meravigliosi e maledetti, due prìncipi, appunto, che non possono accontentarsi del “reale” perché hanno scelto di vivere il cuore del “reale”, cambiando appartenenza e nazionalità, raccontando un “reale” più autentico, quello dell’inconscio, attraverso la voce apparente del “reale”. Perché la pittura è lingua trans-nazionale - come P.P. Pasolini affermava per il linguaggio del cinema - è segno e presagio, è bizzarra memoria che riemerge come fantasma per rivivere attraverso una levitazione mentale medianica. È il nostro sguardo verso le cose che può cambiare il mondo; è la speranza rigenerante della nostra mente che germina nuovi stati di grazia perché l’arte è un rito di passaggio. Come un edificio dalle corpose fondamenta “sta” la pittura di Daniele Masini. “Sta” incuneata fra sostanze labili e possenti, “sta” trasmutante nei simulacri che riflettono altri campi semantici. Esagerare significa “forzare e sottolineare”. Gli enigmatici sistemi perfettibili su cui poggiano le costruzioni fantastiche di ogni singolo dipinto esperiscono ogni possibile fattualità. Perseguire l’impossibile sembra essere il dictat imperante di ogni sua sonora pittura. Alcune opere diventano l’espressione di racconti fluttuanti, sono vere e proprie metamorfosi del pensiero e del sogno. Sono ibridati percorsi mutanti che segnano il liminare del tempo. Fare arte comporta passione, dedizione, lotta e desiderio. È cerimonia che armonizza le dissonanze, che nasce dall’ansia e dal desiderio e che pone fine e inizio alla libertà psichica della mente. È partitura, struttura musicale mitica, impulso e slancio: è sostanza tattile. È febbre evocativa, pane: è idea aggregante. È ordito passionale, simulacro fortificante, passione mutante: è innesto apotropaico. È energia, amore fisico: è mimesi. È presenza solida nell’assenza, prospezione scenica: è ricordo perdurante. È reminiscenza, seduzione psicologica: è agglutinazione dell’io. Così la tela si fa luogo scenico d’eccellenza, diario, corpo, sudario, ferita, esperienza testimoniata. Ogni sensazione è “perdurata” attraverso quel diabolico filo rosso che porta al riconoscimento di ciò che fu prima di noi. La memoria sontuosamente riesuma, rammemora ed esorcizza la pre-morte, le ombre, i mostri e ci preserva per il presente attraverso la conoscenza di ciò che è stato. Daniele Masini è un vero portatore di sogni dal cappello a sonagli, variopinto e mutante: ha due grandi sacche borchiate, come i portatori d’acqua del deserto, sature di sogni e di incanti. La sua mente si è nutrita della luce dei pianeti che lo hanno misticamente e diabolicamente allevato. Le sue creature sono un sortilegio dell’anima che, con ruvida leggerezza, le ha levigate perché fossero restituite a noi, in questo tempo troppo “mancante”. Così, nello sguardo primario di un occhio mistico dove bene e male sono più che mai indivisibili, Daniele Masini sottolinea e ribadisce il senso dell’arte, di questo magico linguaggio capace, ancora oggi, di reincarnare emozioni e suggestioni gettando un ponte fra noi e l’inspiegabile, per riflettere, ancora una volta, sull’inesauribile domanda: Chi siamo? Da dove veniamo?
Marisa Zattini
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