Masini Daniele 3285906674

Daniele Masini
Apocalisse: Atto Secondo
La pittura di Daniele Masini pone due importanti problemi che sono strettamente intrecciati tra di loro e che appartengono entrambi alla fisiologia dell’arte, uno di carattere estetico, l’altro di carattere sociologico: sono entrambi presenti nella dinamica dei suoi quadri che li contiene e li esprime. Il primo riguarda la forma che contribuisce a dare chiarezza e sostanza ai contenuti, l’altro riguarda la sostanza nell’interno della forma, e l’una non potrebbe esistere senza l’altra. L’arte ha sempre bisogno di dialogare con quello che è nell’interno della psiche, la psiche continuamente cerca un varco verso la conoscenza passando attraverso le molte declinazioni dell’arte (o della letteratura o della musica o della filosofia). Quando nella pittura manca uno di questi due elementi l’opera non dice tutto quello che dovrebbe esprimere, rimane un po’ indietro, può anche diventare un’opera bellissima, ma c’è in lei una manchevolezza, è una bella esercitazione estetica oppure è una bella esercitazione intellettuale, ma l’anima è sempre un po’ assente (a meno che l’artista si accontenti di fare esclusivamente un’opera decorativa, e non è questo il caso, naturalmente, di Daniele Masini). Oggi assistiamo spesso a questa divergenza tra la calligrafia, spesso elegante, che non approda a nessuna consistenza, e una progettazione spesso teorica che non approda a nessun significato. Gli esempi sono numerosissimi nella nostra epoca, vi sono molte opere che vogliono essere solo idee, e sono condannate a rimanere rozze ed incomplete, ed opere che sono solo calligrafia, e sono condannate ad essere puro virtuosismo.
La pittura di Daniele Masini ha il merito di voler abbracciare e di voler contenere entrambi questi due postulati di forma che diventa significato e di significato che diventa forma, di voler costruire il quadro sia partendo dalla visione estetica e sia partendo dal punto di vista sociologico (ma potremmo anche dire psicologico o antropologico), in un momento della storia dell’arte che appare sicuramente in crisi (non sa dove esattamente andare). Da molti decenni l’arte compie belle esercitazioni teoriche. La pittura di Masini guarda nello stesso tempo a questi due grandi problemi che ogni opera deve porsi: che cosa dire e come dirlo, che non è certamente una cosa molto semplice. Mettere insieme queste due cose sulla stessa superficie che chiamiamo quadro è sicuramente molto faticoso, e non ci stupisce quindi che molti artisti oggi preferiscano rinunciare all’impresa e si accontentino d’una soltanto delle due parti dell’espressione artistica. La pittura di Daniele Masini richiede una grande bravura tecnica, ma impone anche al pittore di ri-definire la sua concezione del mondo, di non rimanere indifferente. Masini non lascia la sua opera in mezzo al guado, ma vuole sempre arrivare anche sull’altra sponda, dove lo attendono sicuramente scoperte inattese. Va verso l’ignoto. È in quel territorio un po’ aspro che si fanno gli incontri più insoliti e straordinari. È qui che appaiono angeli e diavoli, ali ed artigli. L’estetica rappresenta per Daniele Masini la sua armatura, ma oltre all’armatura, oltre alla spada occorrono strumenti ancora più complessi che possono essere dati solo da un’analisi continua ed appassionata dei fenomeni esistenziali che l’umanità deve continuamente affrontare. Il pittore deve sapere in ogni momento, e Masini lo sa, che la pittura ha bisogno di confrontarsi con il mondo, di farsi coinvolgere dal mondo in tutte le sue avventure. Deve diventare una parte del mondo, anche sua complice, se necessario. Davanti al dilemma se escluderlo o accettarlo non può avere dubbi, il mondo non può essere rifiutato né nel bene né nel male, anche se c’è sempre il pericolo che il mondo alla fine voglia inghiottirlo, ma è questa la funzione del mondo, divorare le sue prede umane ancora vive, morderle, inghiottirle, espellerle, lottare, accapigliarsi, uccidere, ma anche risuscitare e restituire. Il mondo va ovviamente preso con le molle, non viviamo in un universo innocuo, come sappiamo benissimo, ma il pittore davanti a questo rischio deve diventare sempre più audace, sempre più abile, più agguerrito, più originale, deve dipingere proprio i quadri che Masini dipinge con quella forma, con quella sostanza, con quella violenza, con quell’irruenza. A Masini non mancano tutte queste qualità. La sua pittura racconta gli episodi d’una grande battaglia che si svolge tra gli spiriti del male e quelli del bene. È un’antica battaglia, l’ha già raccontata Giovanni nella sua Apocalisse, ma credo che in forme diverse è sempre stata raccontata da tutti, dal Mahabharata indù all’Iliade, da Bosch a Bacon, da tutti quelli che non hanno una visione troppo ingenua o troppo superficiale della vita. L’opera di Masini è la ricerca e la ricostruzione di questa antica battaglia che ovviamente continua ancora oggi sotto i nostri occhi. Masini non dipinge soltanto per produrre un quadro obbediente a tutte le regole raccomandate dall’estetica, dall’armonia, dalla proporzione, dall’accostamento sapiente dei colori, ma dipinge anche per narrare le lotte interiori della psiche e le tragedie del nostro tempo, che possono anche essere commedia o farsa, ma tutti questi elementi confinano tra di loro.
Masini dice una cosa ancora più importante: il secolo (quello appena passato e quello attuale) è sicuramente malato, è afflitto da una malattia congenita. L’ha ritratta molte volte nei suoi quadri questa malattia, probabilmente da sempre. Non poteva assolutamente ignorarla. È una malattia sotterranea che circola da tempo nelle sue vene, ma le sue origini sono antiche. La civiltà, ogni civiltà, per quanto sia splendida, è come una malattia dello spirito: presto o tardi la malattia segreta che serpeggia nelle profondità della sua anima l’ucciderà per dare spazio ad altre civiltà che si illuderanno d’essere immuni da ogni male. Questa malattia è un po’ come un’epidemia, afferra l’uomo e lo scaraventa da un lato all’altro del mondo. Genera smarrimento. Cresce con lo sviluppo stesso della civiltà, con la sua evoluzione. Certo, vi sono periodi dove la malattia è più acuta, altri dove la malattia è latente, ma cova sotto la cenere. Qualche volta assomiglia ad un raffreddore, spesso i sintomi sono molto più gravi e la malattia quando esplode è devastante: le società sono costrette a scomparire anche se hanno eretto magnifici monumenti artistici o letterari o filosofici o umani. Non è un paradosso? Quella civiltà è stupenda, dovrebbe vivere eternamente, invece la realtà è spietata. Quando abbiamo visto il sorgere di questa malattia? Molte volte, sicuramente: quando l’uomo è uscito dalla foresta preistorica, per esempio (che potremmo chiamare il suo Paradiso terrestre) ed ha subìto un trauma di cui ancora adesso affronta le conseguenze. Più vicino a noi nel tempo, anche se ci sembra lontanissimo, la malattia si è manifestata durante il crollo dell’Impero romano, aggredito da molti virus che si sono introdotti nel suo cadavere: le invasioni barbariche, il crollo dell’economia, il disorientamento spirituale, l’avvento del Cristianesimo che uccidendo il paganesimo ha mutilato anche se stesso. Durante la Rivoluzione francese e poi durante quella russa non sono mancati stati morbosi devastanti, anche durante le molte dittature del secolo XX (peraltro non del tutto finite ancora oggi), nel trapasso dall’epoca medievale all’era moderna, nell’era tecnologica, nella rivoluzione industriale, in tutti questi casi abbiamo assistito al decorso d’una febbre spesso mortale. Anche nell’arte vi sono stati periodi di malattie acute, di malattie degenerative, di malattie che avevano la tendenza a diventare croniche. Già nell’Ottocento esistevano stati febbrili portati da artisti di genio, come Gauguin, Van Gogh, Cézanne e molti altri, e poi le stesse avanguardie del XX secolo, tutte grandissime, tutte geniali, ma apportatrici alcune di morbilli ed altre di colera, da cui le ultime generazioni sembra non siano ancora del tutto guarite, specialmente quando oggi fanno l’imitazione dell’imitazione dell’avanguardia. Dipende dai vaccini che gli artisti delle generazioni successive hanno assunto. Alcuni hanno digerito male le avanguardie ed avrebbero bisogno d’una cura disintossicante, altri hanno superato la crisi ed hanno trovato una strada molto personale e più originale, lontana dalle mode e lontana dagli eccessi: Bacon, Max Ernst, Dubuffet, Pollock, Dalì, che della paranoia ha fatto, per esempio, il manifesto della propria arte, e molti altri, naturalmente. Daniele Masini a questo punto ha preso la temperatura esatta del proprio tempo e si è reso conto che la febbre è ancora alta. Il malato non è ancora fuori pericolo e probabilmente mai lo sarà. Qualche volta una buona malattia può perfino essere utile. Il pittore che non ha fatto esperienza della malattia è sempre un po’ debole: paesaggisti recidivi, realisti noiosi e pedanti, concettualisti onorari che hanno ormai perso di vista la ragione della loro concettualità, pittori alla moda, provocatori stagionali, e molti altri. La vera avanguardia sta altrove. Daniele Masini è un pittore di singolare modernità. Con la sua pittura dai contenuti forti fa oggi quello che all’inizio del secolo scorso facevano le prime avanguardie: cercare nuovi approdi. È un pittore ed è un terapeuta. Masini dipinge in maniera costruttiva, dipinge in maniera creativa, ed è proprio questo che dà alla sua opera il suo carattere di novità. Non ha paura di dipingere seriamente l’esistente nel momento della sua crisi, nel momento della sua malattia, nel momento in cui scopre la verità, estetica e psicologica, dell’opera. Mette insieme questi due elementi, non li abbandona al caso, ma fa anche una pittura di idee, una pittura che racconta i molti episodi della nostra storia quotidiana, che è poi anche la nostra storia eterna, poiché già ne parlarono una volta i miti, le leggende, i sogni. Dipinge con imparzialità vittime e carnefici. Costruisce un mondo immaginario che è drammaticamente reale. Ha percepito nell’aria la malattia del secolo, le sue paure, i suoi complessi. Anche una pittura può essere un’anamnesi. Questo è anche il secolo (quello che è finito, ma non è ancora finito, e quello che è già cominciato, ma non è ancora del tutto cominciato) che ha fatto enormi progressi scientifici, ed è anche il secolo che ha scoperto il meccanismo della psiche attraverso la psicoanalisi, una scienza ed una filosofia che si sono lanciate alla scoperta delle malattie dell’anima, delle malattie sotterranee (guarire è un’altra cosa). L’apparizione della psicoanalisi in uno dei periodi più critici della nostra civiltà non è stato certamente casuale: proviene da molti studi anteriori, ma essa è giunta nel momento giusto e nel posto giusto, quando probabilmente il secolo ha cominciato a rifiutare la malattia o non ha più creduto all’esistenza della malattia. Diceva di godere ottima salute: si sa come è andato a finire. Stava così bene che alla fine è morto. Il fatto che poi la psicoanalisi abbia affascinato anche l’arte (e che l’arte sia stata affascinata dalla psicoanalisi) rende più preziosa questa ormai vastissima branca del pensiero. Che la psicoanalisi si sia insinuata anche nella pittura di Daniele Masini non può che rendere la sua opera ancora più affascinante, ancora più vicina a noi, ancora più vera. Serpeggiano nella sua pittura antichi fantasmi: le pulsioni della vita e le pulsioni della morte, l’Eros e la distruttività, l’uscita violenta dal conscio e il precipitare nell’abisso dell’inconscio, la fuga dall’inconscio e non trovare più nulla nel conscio, sapere, attraverso gli strumenti pittorici, che il mondo vive una stagione delirante. I sintomi sono evidenti in ogni angolo del pianeta. Perfino la natura sembra in ebollizione, ed anche questa è una malattia pericolosa. La patologia più diffusa tra gli uomini sembra oggi una psicosi paranoica: tutti sono diventati nemici di tutti. Questa pittura obbliga il mondo a guardare in faccia i suoi fantasmi. Daniele Masini racconta questa storia in termini estetici con le sue forme aggrovigliate, con i suoi draghi, l’occhio che emerge da un corpo massiccio, l’intensità dei colori, la deformazione che si impone sulla regola, la regola che si impone sulla deformazione. Il corpo non trova la sua armonia ed allora si dilata, si gonfia, sembra sempre sul punto di esplodere ed ha un aspetto vorace ed aggressivo, ma nello stesso tempo è timido, è stato ferito, è stato lacerato, è il corpo del mondo offeso dai suoi infiniti cataclismi umani e naturali. Sembra che quel corpo lotti con se stesso e contro tutti. Da quel corpo spuntano gambe e braccia: non si sa bene da dove vengono e dove vanno a finire, come se appartenessero ad un altro corpo contenuto nell’interno del primo, come se l’uno cercasse di divorare l’altro. È un corpo in continuo conflitto con se stesso, è un’anima che si spezza in molte altre anime. La morte lo attraversa continuamente, ma attraversa anche la forte sensualità di queste immagini che sfiorano l’ebbrezza e la paura. «Una spada aguzza a due lame esce dalla sua bocca», scrive Giovanni nella sua Apocalisse e trascina tutti con sé nella sua rovina. Appare una «donna bellissima assisa su una bestia scarlatta», dice ancora questo celebre testo, ed anche gli Angeli tremano. Sembra che Daniele Masini descriva con le sue opere anche una teologia della ragione ed una teologia della follia, una teologia della sensualità ed una teologia dell’anima, una teologia del male di vivere, del piacere amaro e del piacere intriso di ebbrezza. Dice queste cose attraverso i suoi dragoni di fuoco (anche nell’Apocalisse naturalmente spadroneggiano) oppure attraverso le sue ali che si infrangono. Il destino del mondo è in bilico: essere divorati dal mondo o divorare il mondo? Sembra che Daniele Masini l’abbia sempre saputo da quando ha cominciato molti anni fa a dipingere queste figure allucinate, possedute da una sconvolgente hybris. Sono i draghi del senso e dei sensi, sono i draghi che si impossessano continuamente della nostra immaginazione, ma sono anche i draghi reali, con i quali dobbiamo confrontarci tutti i giorni. Anche i draghi sono antichi: quasi tutte le civiltà ne hanno parlato nelle loro mitologie e nelle loro leggende, dalla Cina, che ne ha fatto l’emblema della propria cultura, fino alla civiltà europea. Il Dragone è anche la grande Bestia che appare nell’Antico Testamento, è l’Impuro, è il Tentatore, ma in fondo è anche la Vittima designata, è il Capro espiatorio ed alla fine finisce sempre sotto il tallone o la spada del Cavaliere immacolato. Il grande dragone è anche il Minotauro nelle molte metamorfosi che appaiono nei quadri di Daniele Masini. È la grande Bestia a tre o sette o dodici teste che rapisce le fanciulle, le divora o le violenta, ma è anche il Colombo che porta in volo Pinocchio, è il terribile pesce-cane che lo inghiotte e lo imprigiona nelle sue viscere. È il Leviatano che Masini dipinge e raffigura continuamente nei suoi quadri. È il dragone vorace della società sempre in lotta con se stessa, ma il dragone è anche il sole che attraversa il cielo e che un giorno potrebbe essere la nostra salvezza. Tutte queste cose sono contenute nella pittura di Daniele Masini. Nei suoi quadri alla fine possiamo rintracciare anche una specie di misticismo sensuale, come se Masini avesse messo insieme paganesimo (la colpa o il peccato) e cristianesimo (la salvezza). Le sue immagini vogliono sempre un po’ provocare, anche se forse lo fanno inconsciamente. Qualche volta le sue figure sono ricoperte da un’armatura di ferro. Ma sono anche attraversate da cicatrici, da tagli, da rattoppi, da ricuciture, da ammaccature, da gonfiori, da squarci. Le armature che le rivestono sembrano di carne vulnerabile, come se fossero appena uscite da un campo di battaglia, in mezzo al frastuono ed al rimbombo delle trombe, ai colpi di spada e di alabarda, tra gli zampilli del sangue che è l’immagine emblematica della morte, ma è anche il sangue che continuamente si rigenera, che sgorga vivacissimo, è un sangue che assomiglia ad un filtro afrodisiaco. Sulla superficie dei suoi quadri appaiono i resti di una antica battaglia, dove non si distinguono nettamente i buoni dai cattivi: sono tutti buoni e sono tutti cattivi. Questi dragoni in fondo sono anche bonari, non tutti probabilmente sono cattivi, ma raffigurano sempre la lotta tra le forze del male contro altre forze del male, una lotta tra simili e dissimili, ma i dissimili sono predominanti. La ricerca della dissimiglianza in questa pittura conduce paradossalmente Masini all’armonia. I suoi quadri così tumultuosi sono anche fortemente equilibrati, costruiti con sapienza. A tratti sembra che Masini faccia una pittura eccessiva e non c’è nessun eccesso. Sembra una pittura fuori delle regole ed è una pittura rispettosa di tutte le regole, quello che noi crediamo deformazione della pittura è in realtà la deformazione del mondo. Daniele Masini si è assunto un compito ed anche un dovere non facile: quello di fare una pittura che oggi possa ancora significare qualche cosa, una pittura che esce dagli schemi tradizionali ed è pure rispettosa della tradizione, una pittura del proprio tempo e non una pittura ipotetica o teorica o alla moda, una pittura senza ipocrisie, dove il bello è ancora la ragione profonda del vero e la ragione vera del dipingere, una pittura che sembra antica, e può anche vantarsi di questa antichità, ed è soprattutto, nello stesso tempo, profondamente moderna ed umana.
Janus
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